Recensione in anteprima ” Il Kamikaze di Cellophane” di Ferdinando Salamino

18 Apr, 2019

Salve miei peccatori. La vostra Thammy oggi è molto emozionata.
Si, oggi sono molto emozionata di parlarvi di questo romanzo per diversi motivi. In primis perché è la prima recensione che faccio ad un “noir” ed è un anteprima, poi perché si tratta del lavoro di un autore che nel frattempo è diventato un caro amico. In fine perché è una storia complessa, che mi ha scatenato un’insieme di emozioni contrastanti e spero di riuscire a descrivervi.

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Eccomi a parlarvi di questa storia senza spoilerare (dovrò stare attenta), e di tutte le emozioni che mi ha scatenato, contrastanti ma fortissime in eguale misura.
Kamikaze di cellophane: titolo strano mi sono detta, poi l’ho letto e tutto ha avuto un senso.
Un protagonista, Michele, la sua vita .
L’autore mi ha accompagnata per mano, portandomi a conoscere tutto di lui.

Già il prologo mi aveva catturata…

Per quelli come me arriva sempre il giorno.
Quello in cui uccidi o ti fai ammazzare, o
entrambe le cose.
Perché alla fine è tutta una questione di
impulsi, capite?
Di impulsi e di controllo.
Prendete due bambini in una sera d’estate, una
di quelle dove l’aria è una colata di pece
sulla pelle e l’unico rumore è lo sfrigolio
degli insetti giustiziati dalle zanzariere
elettriche. Due bambini come tanti, sui sette
anni, vestiti con una canottiera a righe
orizzontali e un paio di pantaloncini di
spugna. Due bambini punti da un pappataci
nella canicola di agosto. Immaginateli
piagnucolare per il prurito, correre dalla
mamma, sedersi sulle sue ginocchia. Pensate a
questa mamma che sorride, estrae la pomata
dalla borsa di vimini e la spalma con cura sul
braccino.
“Non grattarti, tesoro. Tra due minuti passa”.
Bacio sulla fronte. Carezza sulla testa.
Il bambino numero 1 getta un’occhiata al
braccio. Gli prude da morire, ma non vuole
disobbedire e dare una delusione alla mamma.
Stringe i denti, chiude gli occhi. Comincia a
pensare alla squadra del cuore, all’album
delle figurine, al cartone animato preferito.questo squinternato? Delinquente, malato
psichiatrico. Artista, magari. Uno di quelli
che fanno un sacco di soldi, da morti.
Impulsi e controllo. Base e altezza. L’area
delle possibilità di un essere umano si misura
in questo modo.
Devo confessarvelo, se qualcosa prude io mi
gratto. Sempre.
Perché ve lo racconto?
Perché sto per fare qualcosa di molto, molto
impulsivo.
Non avevo mai ucciso prima di stanotte e, se
non stessi per morire io stesso, credo lo
farei ancora, per la magia dell’istante
conclusivo, quando capisci di aver esaurito i
trucchi, bruciato l’ultima carta.
Smetti di lottare e ti senti pervadere da una
strana calma, a volte persino euforia.
Ti spegni in un fiorire di luci abbaglianti,
cori di angeli e persone amate che chiamano
il tuo nome e tendono la mano.
Non c’è niente di mistico, sapete? Niente di
spirituale. Il cervello realizza che non c’è
più nulla da fare e produce beta-endorfine per
prepararti alla resa. Muori annegato nelle tue
stesse droghe, convinto che tutto andrà per
il meglio, mentre la verità è che andrà e
basta.
Allucinazioni misericordiose, inganni
neurochimici.Ce ne andiamo con le palpebre socchiuse e una
parola di perdono sulle labbra, per fare bella
figura in quel Paradiso dove crediamo di
essere attesi; oppure guardando il cielo, per
portare con noi la bellezza del mondo.
Accettiamo di essere vittime e lasciamo questo
mondo con occhi languidi, acquosi.
Quasi tutti noi.
L’uomo di fronte a me appartiene a una razza
diversa. Quelli come lui non si arrendono, non
cercano la pace, né la concedono.
Diventano fantasmi, pronti a perseguitarti per
sempre.
Lo capisco da come mi fissa, immobile, l’odio
distillato nelle iridi. Le storie di spettri
e case infestate nascono da occhi come i suoi.
Se lo sguardo terminale di un uomo è il codice
a barre che lo identifica nel supermercato
dell’esistenza, lui e io apparteniamo allo
stesso scaffale. Siamo entrambi troppo
corrotti, sporchi e frantumati per sperare in
qualche amnistia, nell’aldilà.
L’unica differenza, tra noi, è che io sono il
tizio con il rasoio in mano, lui quello con
lo straccio in bocca e il nastro da
imballaggio attorno ai polsi e alle caviglie.
Ammetterete che non si tratta di un dettaglio
trascurabile.Sono certo che in questo momento stia
maledicendo la propria passione per le cose
antiche, come il letto su cui è sdraiato.
Una maestosa, indistruttibile struttura in
ottone, esaltata dagli alti e pesanti pomelli
disposti sui quattro angoli, ai quali l’ho
legato. Le cose che possediamo, alla fine, ci
possiedono, lo sentite dire spesso, vero? Nel
suo caso è solo un po’ più letterale. Sono
tentato di spiegarglielo, ma mi pare
indelicato, considerate le circostanze.
Pratico un’altra incisione, appena sotto il
capezzolo sinistro, e resto a osservare quasi
ipnotizzato il brillio scuro del sangue nella
penombra della stanza. L’urlo del prigioniero
si estingue nella stoffa umida che gli ho
ficcato in gola, ma gli occhi mi fissano
ancora, senza tregua.
Quando la polizia ci troverà, accatastati uno
sull’altro in una pozza di sangue, il
contenuto di questa notte verrà catalogato
come omicidio senza movente, il classico gesto
di un tipo 2 che non ha saputo contenere i
propri istinti.
Non credeteci. Niente è senza movente. Si
tratta solo di guardare abbastanza lontano,
scavare abbastanza a fondo.
Se avrete la pazienza di farlo, vi accorgerete
che non vi era altra strada, per nessuno di noi, se non quella che ci ha condotti fino
qui.

 

Da bambina mi è stato insegnato cosa sia il bene e il male, il giusto e lo sbagliato. Sono stata educata a comportarmi bene, ad essere “giusta”…
Ma dov’è il confine vero tra il bene e il male? Fin dove si può spingere il limite della mente umana prima che scatti quel senso di autoconservazione?
Fin dove un’anima può arrivare prima di soccombere?

Questa è stata una fra le letture più sofferte che io abbia fatto. Mi sono incazzata, avrò deciso di mollarla non so quante volte, Lo stomaco chiuso, ma non ci riuscivo. L’autore ha una capacità di “parlare”al lettore straordinaria. Riesce a rendere “veri” tutti i personaggi anche quelli secondari che sono tutto tranne che questo anzi, fondamentali nell’intreccio ed evoluzione della storia. Una narrazione scorrevole avvolgente, quel pizzico di sarcasmo,di ironia che porta colore, le metafore. Uno stile che non lascia via di scampo. NON PUOI NON LEGGERE.
Un romanzo dove ti troverai a pensarla in un modo per poi cambiare completamente idea. Ad apprezzare personaggi e scelte per poi cambiare completamente opinione, a rivalutare anche chi all’inizio avevi malgiudicato.
Una storia così forte, Struggente, straziante ma dolcissima, delicata. L’amore quello vero, quello “puro” ma anche quello “marcio” distruttivo. 
La rassegnazione, la resa ma anche la speranza, la voglia farcela.
La follia più lucida che possa esistere, la rivalsa dei più ” sbagliati” i ” reietti”.

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“Il suo incantesimo a tempo era agli sgoccioli.
Avete presente la fiaba di Cenerentola, vero? Quando la Fata Madrina agita in aria la sua bacchetta e la prepara per il ballo, carrozza, abito da sera e tutto il resto. Cenerentola può fare quello che vuole. Può danzare, conquistare il Principe e lasciarsi ammirare dall’intero Reame, ma soltanto fino a mezzanotte. Quando l’orologio batte l’ultimo dei dodici rintocchi, la magia svanisce e la miseria si rivela per ciò che è sempre stata….
Finché l’incantesimo tiene, possiamo fingere che tutto vada bene, ma li sentiamo di continuo, i rintocchi dell’orologio. Riconosciamo subito quell’ansia, quando la magia si dissolve a poco a poco e la carrozza si trasforma in zucca. A quel punto corriamo a perdifiato, cercando di trovare un buco in cui nasconderci, prima che il nostro vero volto torni alla luce.

Mi ha tenuta incollata pagina dopo pagina, riga dopo riga.
Partendo da un presente così truce per passare ai salti temporali, i flashback del passato, dove mi sono trovata fianco a fianco con Il “mio Michelino” assaporando ogni sua emozione. Un viaggio nei meandri infiniti della mente umana…
Ho camminato con lui per quei corridoi, mi sono seduta con lui nella “escape room” Mi ha presentato e fatto conoscere poco a poco Elena, colei che riuscirà a rompere quel cellophan che ricopre il suo cuore.
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Devo fare i miei complimenti a Ferdinando anche per una cosa: mi ha fregata! Ero convintissima di aver capito chi fosse un “determinato” personaggio invece mi ha fregata! Bravo! Mi ha deliberatamente forviata e io ci sono caduta!

E che dire della fine? Un finale che beh… perfetto. L’incognita di quello che verrà, la speranza, la possibilità di un nuovo “domani”…

Michele … un kamikaze , per amore, per disperazione.

Il cellophane: l’involucro invisibile che lo protegge, lo isola da qualsiasi emozione, quante volte anche noi vorremmo poterlo usare per proteggerci dall’effetto di certi eventi della nostra vita. Il dolore di un abbandono, di una violenza, di un lutto, come la morte di un figlio… (e qui entro un po’ nel personale) io l’ho fatto. Ho sentito quel cellophane intorno al cuore e alla mente, che ti isola ,ti protegge. Ma alla lunga ti uccide… Non ti da la possibilità di reagire, di guarire, di vivere …
Tutto questo per dirvi “quanto” io abbia sentito, vissuto questo romanzo e ora non mi resta che fare i miei complimenti  a Salamino, per me un vero talento nel ” comunicare”. e voglio dirvi correte e andate a leggerlo!!
Perché io nel frattempo andrò a “tampinare” il cosiddetto autore per poter leggere in seguito…

Un saluto e un abbraccio dalla vostra Thammy.

 

 

Scheda Tecnica

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