Ecco a voi la prima recensione della nostra Keja Galli, onoratissima di pubblicarla perchè è veramente una bellissima recensione.
Ambientato in Norvegia, tra lo splendore verdeggiante del fiordo di Olden e l’impervio ghiacciaio che lo sovrasta, Cuore di Jagoda è la storia di un amore contrastato, quello tra Aase e Lhase, due ragazzi come tanti. L’unica loro colpa è quella di essere nati dalla parte opposta del bosco.
Due mondi divisi dalle rispettive culture. Da una parte i norvegesi e il loro scetticismo, e dall’altra il popolo nomade, chiamato barbaramente “zingaro”, pieno di orgoglio e tradizioni ormai lontane nel tempo.
Due innamorati in cerca della libertà.
Due cuori che battono all’unisono in un unico petto.
“Di che cosa hai paura, Jagoda?”
“Che l’amore non basti.”
Cuore di Jagoda è stato una sorpresa. Una piacevole sorpresa.
Partiamo dal fatto che, fin quando non ho scorso le righe – e le pagine – nemmeno sapevo cosa volesse dire jagoda. Anzi, la traduzione letterale la conoscevo, ma non ne sapevo ovviamente il significato. È stata infatti la trama, ad attirarmi, e la rappresentazione di una ragazza nivea in copertina. Per non parlare dei nomi dei due protagonisti: Aase e Lhase, tanto simili nel suono quanto diverse sono le culture delle persone a cui appartengono.
Da una parte abbiamo Aase, norvegese, tratti tipici del nord, dal carattere dolce e schivo. Presa in giro dai compagni per il colore così chiaro della sua pelle e dei suoi capelli, viene infatti da loro chiamata latticino. Cerca di passare sempre inosservata, spalle curve e testa bassa, fin quando nella sua vita non entra Bjorg, una rossa tutto pepe, che donerà ad Aase una delle cose più importanti che si possano avere nella vita: la vera amicizia.
Dall’altra abbiamo Lhase, rom, scuro di carnagione e di capelli. È l’esatto opposto di Aase: carattere forte, temperamento allegro e spensierato. Legato in modo indissolubile alla famiglia, con la quale ha un rapporto di amore-odio, vive la sua adolescenza aiutando il padre e i fratelli nei lavori di manovalanza.
E cosa potrebbe legare due persone così diverse se non l’amore? Un amore che nasce come amicizia tra due piccoli bambini, e che si rafforza nel corso degli anni sfociando in quel sentimento che fa sudare, battere il cuore, tremare le gambe e la voce.
L’amore può tutto? Non sembra pensarlo il futuro già scritto di Lhase, il quale, in quanto appartenente a una famiglia rom, ha determinati doveri verso di essa, primo tra tutti il matrimonio combinato dal padre. Non sembra nemmeno pensarlo la comunità norvegese, per primo il padre di Aase, da sempre in lotta con gli zingari per qualche fatto avverso avvenuto nel passato.
Un ponte che divide due comunità rivali, una roulotte che, invece, unisce i cuori di questi due giovani di culture diverse, il cui unico peccato è quello di volersi amare.
A tutti i costi.
Parere personale:
Penso che sia una delle storie d’amore più belle che abbia mai letto. La voglia che hanno questi due ragazzi di amarsi va oltre tutto. Lhase va contro la sua famiglia per stare con Aase, e lei fugge da casa ogni volta che può per raggiungere il suo amore nel folto del bosco, dove una roulotte scassata e malandata è l’unica testimone di questo sentimento proibito.
Crescono mescolando le loro culture: a loro non importa avere la pelle scura o chiara, i capelli neri o talmente biondi da sembrare bianchi. A loro interessa solo chi hanno di fronte, e i sentimenti che provano l’una per l’altra.
È una storia che vuole far capire questo: non ha importanza da che luogo vieni, di che etnia sei o se la tua famiglia è benestante o meno: il razzismo, in ogni sua forma, deve essere debellato, non ha ragione di esistere se alla base ci sono l’amore e il rispetto.
Complimenti a Irene per questa bellissima storia, per avermi fatto sognare e per avermi aperto la mente. Il che non è mai abbastanza.
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