RECENSIONE SONO STATA CATTIVA DI MAURA R. MAJONKI

GENERE: Romantic Souspense Romance
PUBBLICAZIONE: 6 LUGLIO – SELF PUBLISCHING
VERSIONE: Ebook 1,99€ CARTACEO 13,00€
Pagine 295
Sinossi:
L’amore unisce, l’amore divide. L’amore cura, l’amore è un killer. L’amore è tutto, ma a volte non basta.

Come si può descrivere la paura?
Per quel che mi riguarda, la racconterei esattamente così: improvvisamente, un giorno, per decisione di qualcun altro, la mia vita, che non era perfetta ma era la mia, fu spezzata, devastata, infettata dal suo male. Ogni sua decisione e ogni suo abuso ebbero il potere di danneggiarmi irreparabilmente.
Sarei mai riuscita a risentire il battito del mio cuore?
Il mio nome è Viola, ho venticinque anni e da tre vivo in bilico tra un passato che mi tormenta e un futuro dal quale mi ostino a fuggire. In bilico, spezzata da un uomo che mi ha sottratto l’anima. In bilico, tra i ricordi che tornano a farmi del male e il desiderio di andare oltre quella luce che intravedo, ma che si allontana quando la mia mente va in tilt. Nonostante la mia resistenza, un giorno ho incrociato due occhi verdi screziati che non hanno avuto paura di fissarmi e mi hanno tolto il respiro. Chi sei? Perché mi guardi così? Vorrei solo allontanarmi, ma non lo faccio.
Forse questo è l’inizio di un nuovo capitolo della mia vita.

Eccomi peccatrici, dico solo una parola, Spettacolare!!! Un libro veramente emozionale! Non ho mai letto nulla di Maura e a oggi me ne pento, la sua penna è speciale, ipnotica, travolgente e sconvolgente. Il tema della violenza è stato trattato con i guanti, in maniera impeccabile. Viola è una ragazza rotta dentro, il suo inferno la perseguita, benché sono passati 3 anni, il demone risiede dentro di sé, le parla, la giudica, la ossessiona. Nessuno è stato in grado di aiutarla, tranne lui, Pietro. Lui entrerà in punta di piedi, sarà in grado di scalfire i suoi muri, le starà accanto, la sosterrà sempre e comunque. Ma nn sarà facile, Viola estranea la sua realtà dai ricordi, il suo rifugio sicuro è il dolore, la sofferenza lei deve avere il controllo di tutto della situazione, della sua vita del suo corpo. Ragazzi è stata dura perché i fazzoletti io li ho utilizzati già dalle prime pagine, entri dentro alla storia e soffri, piangi, ti si strazia il cuore di come una ragazza venga spezzata in questo modo e poi ti rendi conto che queste cose succedono realmente. Non voglio lasciarvi con domande o altro, ma con una frase che troverete all’inizio di ogni capitolo, perché ha un significato profondo.
“Sembra sempre impossibile farcela. Finché non ce la fai. Nelson Mandela”
Baci, baci Lisa.

Sono trascorsi tre anni dal giorno in cui mi hanno ritrovata; i primi mesi soffrivo a causa dei loro bisbigli, ma oramai non più. Da quando sono tornata nessuno ha il coraggio di guardarmi negli occhi per più di tre secondi, nessuno mi ha più toccata veramente. Alla fine ci si abitua a tutto e questo l’ho imparato sulla mia pelle. Sei una bambina cattiva, ti odieranno tutti! Gli farai schifo…non ti conviene provare a scappare! Quelle parole mi tormentano il cervello, anche a questo bado poco, d’altronde non aveva poi tutti i torti. «Può farlo! Le farà bene allontanarsi da casa.» Ora sì che sono curiosa di ascoltare tutta la conversazione, la voce determinata è quella di mia nonna, lei è piccoletta e tutta nervi, con il viso segnato dal tempo e dal sole. Una donna di campagna, dai sani principi, dal piglio fermo. Se è venuta a Torino significa che qualcosa è successo. Esco con passo felpato dalla mia stanza, mi accosto al muro in cima alle scale, voglio sentire meglio. «Adua, ascoltami. Viola ha ripreso ad andare all’università, ce la sta mettendo tutta e anche noi…» Pausa, mia madre si soffia il naso e quasi sicuramente si asciuga il viso, piange di continuo quando parla di me. A questo punto, il mio cuore dovrebbe stringersi in una morsa, dovrei provare dolore per lei e per me…invece il nulla.

Viaggiamo così, lui volge lo sguardo sulla strada davanti a sé, risponde al telefono e una voce che non riconosco si diffonde nell’abitacolo, con un tasto inserisce il bluetooth , parla attraverso l’auricolare, non sento più nulla. È evidentemente teso, guarda ovunque, come se dovesse schivare delle bombe, i suoi occhi sono dappertutto intorno a me. Mi rassegno a questo ennesimo atteggiamento di estromissione, mi volto remissiva. Solo ora mi rendo conto che mentre ci allontaniamo da Torino il ritmo del mio respiro si placa un po’, il paesaggio muta oltre il finestrino, entriamo e usciamo dai paesi, ce li lasciamo alle spalle e le colline delle Langhe con i loro vigneti sono stupende. Attraversiamo un ultimo sobborgo di case, prima di arrivare a un bivio svoltiamo a sinistra, prendiamo la strada sterrata che costeggia altri filari. Conosco molto bene questi posti, vengo qui da quando ero una bambina, ricordo che gli occhi mi luccicavano, ero felice. Trascorrere qualche settimana dai nonni era una festa che profumava di libertà, di vestiti sporchi senza che nessuno mi rimproverasse, di giornate infinitamente lunghe e afose dove potevo giocare non solo con mio cugino, ma con gli animali che gironzolavano in cortile. Sospiro e nel farlo automaticamente allungo le maniche della maglia, mio padre pare accorgersi di me solo in questo momento: «Stai bene?» Stai bene? No, papà, non sto bene né qui né a casa, vorrei rispondergli.

Come se avesse potuto leggermi nel pensiero, accentua il suo sorriso che gli illumina i lineamenti decisi del viso e fa qualche passo verso di me tendendomi la mano. Indietreggio. Chi sei? Perché mi guardi così? Domande senza un senso mi affollano la mente, frugo tra i ricordi. Quello che ottengo è unicamente una fitta che pare volermi bucare le tempie. Siamo in stallo, nessuno dice nulla, se non lui. «Piacere di conoscerti, Viola. Io sono Pietro.» La mia mano troppo fredda, stretta nella sua si scioglie, avverto il sangue circolarmi più veloce nelle vene e questo non è davvero possibile. Io non sento proprio niente, mai più niente da allora. Dario interviene ironizzando. «Visto, non è stato poi così difficile presentarsi. Pietro vive con noi come ospite.» Incupisco lo sguardo. «Ma il casale non è in manutenzione?» «Ci dà una mano con la ristrutturazione del bed and breakfast. Due braccia in più ci fanno comodo, inoltre è qui per scrivere la sua tesi di laurea.» Fatico a credergli, non ho mai sentito parlare di lui, ma è anche vero che per tre anni mi sono completamente estraniata dalla vita di tutti loro; mi sento stringere la mano e solo ora mi rendo conto che non l’avevo ancora sciolta da quella dello sconosciuto accanto a me. La ritraggo scansandomi in modo evidente, Pietro pare dargli poca importanza e aggiunge: «Torino mi distraeva troppo, casualmente ho rincontrato Dario e parlando ho accettato di buon grado la sua proposta, tanto più che dovrà partire e non voleva lasciare tua nonna da sola.» Soppeso ogni singola parola, non gli credo. Pietro se la ride. «Cos’è quella faccia?» Lo guardo infastidita, cercando di non soffermarmi sul suo sguardo. «Come se fosse così strano che uno a ventotto anni decida di prendersi una pausa allontanandosi da tutto. Sto solo dedicando del tempo alla tesi, non appena sarà ultimata tornerò nel caos della città, tranquilla.»

Sei una cagna. Fai schifo, dovresti ringraziarmi perché ti tocco ancora. Nessuno riuscirà mai più a farlo. Il mostro torna e con lui le mie certezze: Viola, togliti quel mezzo sorriso dalla faccia, non puoi permetterti di sperare. Spaventalo, allontanalo. Anche la mia coscienza inizia a tormentarmi, non posso darle torto. «Mi darai tu quello che cerco?» Lo sfido con la voce e lo sguardo sprezzante. Un lampo gli attraversa gli occhi, le sue labbra diventano una linea dura. È così che funziona, Pietro. Lasciami stare, davvero, perdi tempo. «Allora?» lo attacco ancora, voglio che mi dica cose orribili, che si spazientisca, che mi rifiuti come merito. Invece non accade. Al di là di ogni immaginazione, fa un gesto che mi spiazza completamente: mi bacia. La sua bocca si incolla alla mia, anche l’altra mano mi avvolge la guancia, la fa scivolare dapprima sul collo per poi stringere tra le dita quell’unica ciocca di capelli libera, lo lascio fare. Il bacio si intensifica, le nostre lingue non si separano, poi le sue labbra scivolano sino alla mandibola, un lieve morso, un guizzo di lingua sullo stesso punto. Maledetti brividi si spargono ovunque sul mio corpo che resta incollato al suo, poi un soffio roco vicino al mio orecchio. «Ci vuole ben altro per allontanarmi o spaventarmi, Viola. Quello che cerchi non posso dartelo, almeno non come vorresti tu.» Rimango stordita. Non riesco a scansarlo o ad allontanarmi. Sono ipnotizzata dal suono che ha il mio nome sulle sue labbra, dal potere che hanno le sue parole sicure sul mio volere. «Ora sali in macchina che dobbiamo tornare a casa.»

Trascorre una manciata di secondi eppure ho come l’impressione che si tratti di un tempo infinito, prima che lui mi parli di nuovo. «Mi dispiace.» Sollevo le palpebre di scatto, non ho il coraggio di guardarlo negli occhi quindi fisso la sua maglietta. «Mi dispiace davvero, Viola.» Non controllo il tremore che mi percorre la nuca e mi rendo conto che dopo lungo tempo, l’inverno che ha congelato il mio cuore inizia a scricchiolare, è un crepitio leggero, impercettibile, ma lo avverto. Fa male, è ancora ingabbiato, tutto sommato però mi dice che sono ancora viva. Per rassicurarmi accarezzo Kira, lui avrà la certezza che sono sveglia, mi rivolgerà domande a cui non voglio rispondere. «Vai via, per favore» gli dico, mi sento debole e di conseguenza anticipo ogni eventualità. Pietro si alza piano, ne percepisco il fruscio e l’aria che si sposta con lui, fa esattamente quanto gli ho chiesto. Non così in fretta, Pietro, potevi darmi un attimo ancora. Però non ti biasimo se ti spavento, se abdichi come tutti gli altri, alla fine posso capirti. Il sonno pare essere andato via con lui, sarebbe stato meglio se non si fosse mai avvicinato, avverto freddo, e non si tratta solo del temporale che impazza oltre la finestra. Tento di rilassarmi facendomi cullare dal suono della pioggia e continuando ad accarezzare il pelo di Kira, che da sonnecchiante tira su la testa attenta, curiosa lo faccio anch’io per capire cosa l’abbia nuovamente disturbata. Ha riconosciuto il suo padrone, sbuffa sonoramente riappoggiandosi a terra, per quel che mi riguarda continuo a osservarlo in penombra. Quando è abbastanza vicino fa veleggiare una coperta leggera che mi copre, ho già meno freddo. Poi mi sorprende ancora. Pietro si siede in fondo ai miei piedi rannicchiati, si posiziona spalle contro il divano e distende le gambe poggiandoci dei libri sopra. Combattuta, tra imbarazzo e conforto mi metto giù come prima. La sua mano si fa spazio tra le coperte avvolgendomi un piede per portarselo in grembo, inizia a massaggiarlo e provo sollievo. Una sensazione piacevole e rilassante si diffonde in tutto il mio corpo che smette di essere insensibile. Dopo tanto, troppo tempo, questo gesto ha il potere di farmi sentire una ragazza normale, una delle tante che può permettersi di sognare. Pietro, sai quando ti dicevo che non avevo paura? Ora non ne sono più così convinta. Tu in realtà un po’me ne fai, e parlo di quella paura che non si può spegnere perché ha la forza di alterare il battito di un cuore danneggiato. Questa sensazione è molto simile a un calore che stranamente ricordo di aver provato e poi cancellato dalla mia memoria. «Buonanotte, Viola.» La sua voce bassa e sinuosa mi fa capitolare definitivamente, solo per questa notte non voglio fare altro che chiudere gli occhi e non pensare che non sia possibile anche per me sperare.

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